Ancora una stella tutta ischitana. Crescenzo Scotti nel Gotha degli chef

Nov 5, 2014

Pasquale Raicaldo | Voleva fare il muratore, come papà Domenico. Perché i primogeniti, si sa, crescono con un chiaro modello di riferimento. «Non c’è futuro nell’edilizia, devi fare il cuoco» lo ammoniva il padre, allontanandolo severo dalla betoniera. «E ha avuto ragione», racconta oggi Crescenzo Scotti, classe 1976: c’è posto anche per lui nell’Olimpo degli chef di tutta Italia, già affollato da un gruppo di professionisti “made in Ischia”.

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Nino Di Costanzo, bistellato del Mosaico, Pasquale Palamaro con l’Indaco e Andrea Migliaccio, che opera a “L’Olivo” del Capri Palace di Anacapri, accolgono nella cerchia delle eccellenze anche il talentuoso chef de “Il cappero”, il ristorante del Therasia Resort sea&spa sull’isola di Vulcano, alle Eolie. E per l’isola d’Ischia, che si riscopre terra di artisti dei fornelli più che di proverbiali santi, poeti e navigatori, l’orgoglio è sempre più giustificato. Possono gonfiare il petto, i nostri rappresentanti, eredi della lunga tradizione culinaria di un territorio ricco di tradizioni ed eccellenze, che hanno saputo mirabilmente permeare di nuove contaminazioni. Crescenzo lo ha fatto ieri, durante la cerimonia di presentazione dell’edizione 2015 della Rossa Michelin, la “Bibbia” in fatto di gastronomia. E all’Hotel Principe di Savoia di Milano, tra nuovi stellati e cadute più o meno note, è riecheggiato anche il suo nome, Scotti Crescenzo, entrato a pieno titolo nel novero dei più grandi, portavoce e icona di uno dei 332 ristoranti stellati della sessantesima edizione italiana (285 una stella, 39 due stelle e 8 tre stelle).

«E’ stata un’emozione inimmaginabile. E’ successo tutto così in fretta, sono stato convocato a Milano e sì, il riconoscimento nelle

ultime ore era nell’area, ma finché non ho toccato con mano quella giacca, con il mio nome e quella stessa, beh, non riuscivo a familiarizzare con l’idea»

Crescenzo con Nino, Pasquale e Andrea, Ischia che si erge a capitale della cucina italiana: un’isola che dà i natali a quattro chef stellati, cinque stelle in tutto, mentre grida vendetta il destino di un’altra chef d’alto profilo, Libera Iovine, vittima del naufragio de “Il melograno”.

E’ la cucina di qualità, il palato che si prende le sue rivincite nell’era dei fast food e della globalizzazione.

Di’ la verità: stella Michelin è un sogno che si avvera.

«Sì. E ripenso a quando iniziai, piccolissimo, appena tredici anni, lavando pentole e piatti. Perché ho fatto la gavetta, e ne sono fiero. Prima di girare da un hotel all’altro, trovando la mia dimensione».

Una favola a lieto fine, l’abnegazione che paga. Te lo aspettavi? «Si vociferava della stella, in Sicilia. Sapevamo che gli ispettori fossero stati a farci visita al Therasia, ma non come e quando. Vengono in incognito, per evitare trattamenti di favore. E sì, erano tre anni che viaggiavamo ad alti livelli, tra riconoscimenti (come il “Best in Sicily 2013”) e ottime recensioni. Il Gambero Rosso ci aveva già premiati, certo la Stella Michelin è un’altra cosa».

Un traguardo è anche il momento delle dediche.

«Ne ho tantissime, com’è giusto che sia. Ma penso che sia doveroso pensare soprattutto a mia moglie Lucia e a mio figlio Domenico. Per sei mesi all’anno vivo lontano da loro, e i miei sacrifici non sono niente in confronto ai loro, che vivono la quotidianità privi di una parte fondamentale della famiglia. Ma naturalmente dedico il riconoscimento anche alla famiglia Polito, che ha creduto in me, alla direzione Therasia e allo staff, che parla ischitano».

 

Già, è una stella che è molto ischitana.

«Certo, anche se mi avrebbe fatto piacere prenderla a Ischia. Ma l’isola non ti dà la possibilità di esibirti in vetrine importanti. E allora quando, tre anni fa, si è aperta la strada della Sicilia, non ci ho pensato troppo».

Eppure il vento sembra cambiare: cinque stelle Michelin ischitane qualcosa vorranno pur dire.

«Sono ancora poche per il numero di strutture della nostra isola. Abbiamo un numero considerevole di alberghi, pochi lavorano sulla qualità».

C’è una strada che va imboccata: quella dell’Indaco e del Mosaico, ma anche della Lampara.

«E’ la logica virtuosa di chi pensa alla qualità, come i Polito e Carriero. Ma anche Ciro ed Anna, dei cui successi con la Lampara sono felicissimo. E poi nominiamo anche il Saturnino. Ma dietro, cosa c’è?».

Diccelo tu. «C’è un’isola che pensa troppo alla logica del profitto. C’è un panorama che è figlio degli errori del passato, degli anni della prosperità, in cui non pianificavamo il nostro futuro turistico. Oggi, le strutture pensano troppo alla quantità e poco alla qualità. E così i giovani vengono inquadrati in strutture che il più delle volte non forniscono loro la possibilità di esprimersi. Sarebbe così bello, se una realtà come la nostra isola desse fiducia ai suoi talenti».

A Vulcano quanto c’è di Ischia?

«Ischia è con me, è nel mio cuore. Nella cucina, purtroppo, non posso tradurre i sapori della mia isola: è giusto che chi arriva qui trovi i menù siciliani, nel rispetto delle tradizioni della terra che ci ospita e dell’adagio secondo cui “paese che vai, usanza che trovi”. Così, cucino siciliano. Sperimentando e studiando i sapori di questa terra straordinaria, con una piccola licenza alla voce

“dolci”, dove ho lasciato, in onore della mia Campania, una rivisitazione della caprese, con mozzarella e pomodoro in chiave dessert. Per il resto, chi viene qui cerca i sapori siciliani ed è giusto che trovi quelli».

Nella tua formazione riveste un ruolo chiave un altro chef stellato, Nino Di Costanzo. «E’ stato tra i primi a chiamarmi per i complimenti. Ho avuto il privilegio di affiancarlo per dieci anni, e mi ha dato tantissimo: un grande chef, una grande persona, un orgoglio per l’isola. Mi ha trasmesso la passione per un lavoro meraviglioso, al Miramare e al Mare Blu abbiamo vissuto, insieme, momenti indimenticabili. Poi, le nostre strade professionali si sono divise. Ora, mi tocca offrirgli una cena: sono di ritorno ad Ischia, dove inizieremo a programmare la prossima stagione. Sempre in Sicilia, sì: sto benissimo lì».

La telefonata di Nino. E poi? «Cinquecento sms. Centinaia di chiamate. Un calore umano che mi ha fatto esultare ancora di più, perché mi sono accorto di aver lasciato un segno nelle persone incontrate lungo il mio cammino. Adoro condividere le gioie, non ho presunzione».

Possiamo dirlo: hai fatto bene a non fare il muratore.

«Assolutamente. Merito di mio padre, che mi ha dissuaso indirizzandomi sulla carriera dello chef. Però in una cosa sono riuscito ad emularlo: nella passione, nella predisposizione al sacrificio. E’ con quelli che ciascuno, credo, si ritaglia quello che desidera per la vita». Compresa una Stella.